
Chiedono risposte tempestive da parte delle istituzioni e della politica: “chi ha la responsabilità delle decisioni non si trinceri dietro il silenzio spingendo i diretti interessati a far valere i propri diritti attingendo ancora una volta dalle proprie tasche e affidandosi a tortuosi, complessi e incerti, presumibilmente inutili, percorsi giudiziari”. Lo scrivono in comunicato stampa congiunto le sigle delle associazioni sindacali delle Forze Armate appartenenti a USMIA, che raggruppa personale dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, Carabinieri e Polizia.
La questione viene sollevata dopo una recente sentenza della Corte dei Conti, che riporta l’attenzione sulla problematica della situazione contributiva di militari e poliziotti a circa 20 anni dalla riforma “Dini”. La sentenza della Corte, Sezione giurisdizionale della Regione Puglia, si è espressa in materia di risarcimento danni a un militare che aveva presentato un ricorso in seguito alla mancata attivazione, dopo oltre 20 anni dall’entrata in vigore della riforma “Dini” del 1995 (L. 335/95), del cosiddetto “secondo pilastro”. Si tratta dell’istituzione di fondi “negoziali” utili a integrare la pensione erogata dall’organismo di previdenza pubblica obbligatoria (c.d. primo pilastro), consentendo al personale del comparto Difesa e Sicurezza, in regime di sistema previdenziale misto e, ancor di più, per coloro che tra alcuni anni saranno avviati in quiescenza con un sistema previdenziale interamente contributivo, di poter usufruire di un trattamento economico dignitoso, necessariamente dovuto al termine di una lunga vita lavorativa usurante e disagiata. Come si specifica nella nota stampa diffusa nei giorni scorsi, il sindacato USMIA ha posto da subito la questione previdenziale tra le priorità dell’attività sindacale. E, adesso, ci si aspetta un passo decisivo da parte del Governo con un intervento legislativo.
“Ci risulta che la questione sia già stata posta, da tempo, all’attenzione dei rispettivi Ministeri della Difesa e dell’Interno con proposte di legge che contemplano soluzioni ad ampio spetto, in grado di intervenire attraverso immediate forme di compensazione a carattere transitorio; l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della quota contributiva, da rapportare all’età ordinamentale di cessazione dal servizio prevista per le Forze Armate e per le Forze di Polizia; l’immediata attivazione di fondi chiusi, opportunamente garantiti ed al riparo da azioni speculative” scrive l’USMIA nel comunicato.
L’operazione di previdenza complementare per il pubblico impiego, infatti, non è mai partita e richiederebbe, per poter essere attuata, uno stanziamento di miliardi di euro. Occorrerebbe una legge finanziaria che stabilisca non soltanto quale cifra stanziare, ma anche le modalità, ad integrare quindi la legge “Dini”.
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